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. L'annuncio adesso è ufficiale: entro il 2 dicembre i soldati italiani
mandati in Iraq «saranno tutti a casa. A Nassiriya ne rimangono solo 60-70
per la consegna delle caserme alla polizia irachena». Romano Prodi ha
riferito di averlo comunicato anche al presidente Usa, George Bush. Ma il
capo del governo sa che il vero fronte da presidiare nei prossimi mesi non è
quello di Bagdad, ma di Kabul e del Medio Oriente: sul piano internazionale
e su quello della politica interna, per il ruolo della sinistra antagonista.
Gli Stati Uniti lo stanno facendo sapere in tutti i modi. Sia l'ex
vicesegretario di Stato, Richard Armitage, sia altri emissari
dell'Amministrazione Bush in missione in Europa, ripetono che dopo la
sconfitta alle elezioni di medio termine, la politica estera americana non
cambia.
La prima linea strategica, però, ormai corre non soltanto dentro i confini
iracheni, ma nelle province afghane dominate dai talebani. Il vertice di due
giorni della Nato che comincia oggi a Riga, in Lettonia, sarà dominato dalla
missione in Afghanistan. Sta crescendo la pressione su alcuni Paesi europei
affinché mandino altre truppe e combattano senza limitare i propri compiti,
come già fanno britannici e
americani. Ieri è arrivata una prima risposta, minimalista, dalla Francia di
Jacques Chirac, disponibile ad un «piccolo gesto, caso per caso». Quanto
all'Italia, l'impressione è che finora la Nato e l'Amministrazione Bush si
siano accontentate della presenza del contingente italiano ad Herat, nel
Nord-ovest dell'Afghanistan: senza chiedere di partecipare a operazioni
militari a Sud, la zona più pericolosa.
Ma fonti anonime di Washington prevedono nuove richièste al nostro Paese,
alla Germania e alla Spagna. Il problema sono le resistenze che i governi
europei incontrano nell'opinione pubblica; un limite vistoso soprattutto per
Romano Prodi, che ha una coalizione nella quale l'ipoteca dalla sinistra
pacifista e antiamericana si fa sentire. L'Amministrazione Usa è consapevole
del ruolo giocato da partiti come Prc,
Pdci e Verdi; e del loro tentativo di piegare la politica estera verso il
ritiro dall'Afghanistan, come passo successivo a quello dall'Iraq. Ma il
presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema,
diessino, si sono impegnati a mantenere il contingente: pur insisten-
do sull'esigenza di trovare una strategia che non sia soltanto militare. Le
loro assicurazioni sono state considerate la garanzia che non ci saranno
decisioni unilaterali.
D'altronde, D'Alema è visto come un interlocutore affidabile. Gli Usa
ritengono che sia lui il motore della politica estera e non, come ai tempi
di Silvio Berlusconi, Palazzo Chigi. Anche con Prodi i rapporti sono buoni,
ma a volte guardinghi. Ha provocato qualche mugugno il suo commento dopo la
sconfitta di Bush nelle elezioni di medio termine: il premier legò infatti
la battuta d'arresto dei repubblicani alla guerra in Iraq. Sembra, tuttavia,
che il ritorno a casa dei soldati italiani non sia più un elemento di
frizione. Lo ha assicurato Prodi dopo la
conversazione telefonica con Bush. Il presidente statunitense «mi ha detto
che gli dispiaceva. Ma che sapeva che ce ne saremmo andati dall'Iraq perché
lo avevo detto in campagna elettorale». E la conferma di una «comprensione»
nella quale si coglie l'allusione alle questioni di politica interna
italiana. Il premier e Bush si incontreranno a Riga per il vertice della
Nato che comincia oggi. Non sono pre-visti colloqui bilaterali, ma presto potrebbe presentarsi un'occasione più
solenne. Si parla di un viaggio di Prodi negli Usa nel primo trimestre del
2007: anche se Palazzo Chigi e Casa Bianca tendono a considerarlo più una
probabilità, che un appuntamento già fissato. Dal giorno del proprio
insediamento, il governo dell'Unione sta cercando di rilanciare su nuove
basi rapporti segnati da una vicinanza anche personale fra Berlusconi e
Bush, che ieri gli ha telefonato in ospedale. La visita che sta facendo
negli Usa il vicepremier Rutelli va vista su questo sfondo. «Il
peggioramento in Iraq non spinge il governo italiano a utilizzare il
leitmotiv "noi ve l'avevamo detto"», dice per non irritare l'America. D'altronde, per due anni la Casa Bianca non cambierà inquilino. E, nel
futuro prevedibile, nemmeno
Palazzo Chigi.
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