dal Corriere della Sera.. 28 Novembre 2006

   

La Nota

   
 

Ma il fronte ora si sposta
tra Afghanistan e Libano

 
 

. L'annuncio adesso è ufficiale: entro il 2 dicembre i soldati italiani mandati in Iraq «saranno tutti a casa. A Nassiriya ne rimangono solo 60-70 per la consegna delle caserme alla polizia irachena». Romano Prodi ha riferito di averlo comunicato anche al presidente Usa, George Bush. Ma il capo del governo sa che il vero fronte da presidiare nei prossimi mesi non è quello di Bagdad, ma di Kabul e del Medio Oriente: sul piano internazionale e su quello della politica interna, per il ruolo della sinistra antagonista. Gli Stati Uniti lo stanno facendo sapere in tutti i modi. Sia l'ex vicesegretario di Stato, Richard Armitage, sia altri emissari dell'Amministrazione Bush in missione in Europa, ripetono che dopo la sconfitta alle elezioni di medio termine, la politica estera americana non cambia.


La prima linea strategica, però, ormai corre non soltanto dentro i confini iracheni, ma nelle province afghane dominate dai talebani. Il vertice di due giorni della Nato che comincia oggi a Riga, in Lettonia, sarà dominato dalla missione in Afghanistan. Sta crescendo la pressione su alcuni Paesi europei affinché mandino altre truppe e combattano senza limitare i propri compiti, come già fanno britannici e americani. Ieri è arrivata una prima risposta, minimalista, dalla Francia di Jacques Chirac, disponibile ad un «piccolo gesto, caso per caso». Quanto all'Italia, l'impressione è che finora la Nato e l'Amministrazione Bush si siano accontentate della presenza del contingente italiano ad Herat, nel Nord-ovest dell'Afghanistan: senza chiedere di partecipare a operazioni militari a Sud, la zona più pericolosa.


Ma fonti anonime di Washington prevedono nuove richièste al nostro Paese, alla Germania e alla Spagna. Il problema sono le resistenze che i governi europei incontrano nell'opinione pubblica; un limite vistoso soprattutto per Romano Prodi, che ha una coalizione nella quale l'ipoteca dalla sinistra pacifista e antiamericana si fa sentire. L'Amministrazione Usa è consapevole del ruolo giocato da partiti come Prc, Pdci e Verdi; e del loro tentativo di piegare la politica estera verso il ritiro dall'Afghanistan, come passo successivo a quello dall'Iraq. Ma il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, diessino, si sono impegnati a mantenere il contingente: pur insisten-
do sull'esigenza di trovare una strategia che non sia soltanto militare. Le loro assicurazioni sono state considerate la garanzia che non ci saranno decisioni unilaterali.

D'altronde, D'Alema è visto come un interlocutore affidabile. Gli Usa ritengono che sia lui il motore della politica estera e non, come ai tempi di Silvio Berlusconi, Palazzo Chigi. Anche con Prodi i rapporti sono buoni, ma a volte guardinghi. Ha provocato qualche mugugno il suo commento dopo la sconfitta di Bush nelle elezioni di medio termine: il premier legò infatti la battuta d'arresto dei repubblicani alla guerra in Iraq. Sembra, tuttavia, che il ritorno a casa dei soldati italiani non sia più un elemento di frizione. Lo ha assicurato Prodi dopo la
conversazione telefonica con Bush. Il presidente statunitense «mi ha detto che gli dispiaceva. Ma che sapeva che ce ne saremmo andati dall'Iraq perché lo avevo detto in campagna elettorale». E la conferma di una «comprensione» nella quale si coglie l'allusione alle questioni di politica interna italiana. Il premier e Bush si incontreranno a Riga per il vertice della Nato che comincia oggi. Non sono pre-visti colloqui bilaterali, ma presto potrebbe presentarsi un'occasione più solenne. Si parla di un viaggio di Prodi negli Usa nel primo trimestre del 2007: anche se Palazzo Chigi e Casa Bianca tendono a considerarlo più una probabilità, che un appuntamento già fissato. Dal giorno del proprio insediamento, il governo dell'Unione sta cercando di rilanciare su nuove basi rapporti segnati da una vicinanza anche personale fra Berlusconi e Bush, che ieri gli ha telefonato in ospedale. La visita che sta facendo negli Usa il vicepremier Rutelli va vista su questo sfondo. «Il peggioramento in Iraq non spinge il governo italiano a utilizzare il leitmotiv "noi ve l'avevamo detto"», dice per non irritare l'America. D'altronde, per due anni la Casa Bianca non cambierà inquilino. E, nel futuro prevedibile, nemmeno Palazzo Chigi.